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Il comportamento dei gatti

Comunicare? Una vera necessità

Sul gatto i luoghi comuni si sprecano. Le credenze popolari lo vogliono ladro, infido, lunatico, infedele, dispettoso: tutti aspetti negativi che però non hanno niente a che vedere con la realtà.

Negli ultimi anni i gatti sono stati oggetto di minuziose ricerche da parte degli studiosi di comportamento animale e tutte le dicerie, spesso frutto di tradizioni risalenti addirittura al Medioevo, sono state smentite.

Un esempio. Si sente dire spesso che il micio è un animale indipendente e solitario, che non sopporta la compagnia degli altri gatti e che accetta l’uomo quasi a malincuore, soltanto perché quest’ultimo gli assicura il cibo nella ciotola. La verità invece è che il gatto è tutt’altro che asociale. Ne è prova lampante la sua elaborata forma di linguaggio. Attraverso una vasta gamma di movimenti e posizioni della coda, degli occhi, delle orecchie, del pelo e persino dei baffi, è in grado di trasmettere le proprie intenzioni, le emozioni, lo stato d’animo. Per non parlare poi dei messaggi odorosi: un intero mondo di informazioni dal quale siamo per forza esclusi.

Quindi, se il gatto fosse davvero un animale asociale, come spesso lo si dipinge, cosa se ne farebbe di tutti questi canali di comunicazione? Lui invece, non solo è sempre pronto a fare amicizia, ma, pur restando riservato e timido di natura, quando non può comunicare con gli altri, ne soffre.

I gatti che da adulti hanno dei problemi di comportamento, che si dimostrano eccessivamente aggressivi oppure paurosi, sono proprio quelli che da cuccioli non hanno socializzato, che non hanno imparato a interagire con gli altri gatti e con le persone.

D’altra parte, per avere la conferma di come il micio sia un vero “chiacchierone” è sufficiente osservarlo e dargli retta. Quante cose ha sempre da dirci! Non solo usando esclusivamente il linguaggio del corpo ma anche attraverso la voce, con il suo “miao” dalle diverse sfumature: un modo di “parlare” riservato soltanto a noi, quasi avesse capito che non sempre siamo bravi a leggere il suo corpo.

I suoi miagolii, quindi, le strusciate contro le nostre gambe, la coda sollevata a mo’ di “pennacchio”, le fusa, i segni che lascia con le unghie: sono tutte vere e proprie frasi. Spesso il gatto attende da noi una risposta e quando lo facciamo, modulando la nostra voce in un tono dolce e gentile, capisce subito che ci stiamo rivolgendo a lui e si sente soddisfatto.

Un gatto che non può comunicare con il proprio padrone si dimostra invece insofferente, frustrato, perennemente inquieto. L’ho potuto constatare con la mia gatta Kundry. Sfortunatamente è nata sorda, una cosa che capita spesso ai gatti dal pelo bianco, e quindi non può sentire la mia voce o il mio richiamo. A volte, mentre dorme, si sveglia di soprassalto e non potendo sentire nessuno nella vicinanze, inizia a miagolare disperatamente. La mancanza di un contatto sonoro con me, e la certezza quindi di venire compresa, la rendeva nervosa e irrequieta. Ma si è calmata quando, per comunicare con lei, ho trovato un altro sistema. Ho usato il linguaggio dei gesti. Proprio così, ripetendo in sua presenza dei segni molto semplici, sempre con lo stesso significato. In poco tempo ha imparato. Ora è sufficiente che io faccia un gesto particolare per farle capire che è pronta la pappa, che voglio giocare, oppure che desidero solo salutarla e lei risponde con un diverso comportamento ad ogni segnale.

Questo piccola esperienza non è solo l’ennesima dimostrazione di quanto i gatti siano intelligenti e sappiano adattarsi alle difficoltà della vita ma anche che per loro “parlare” è una impellente necessità.

ROBERTO ALLEGRI

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