Un’amicizia millenaria

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Da quanto tempo l’uomo e gatto sono amici? Una questione alla quale è difficile dare una risposta precisa ma che, grazie alle ricerche degli archeologi, è sempre meno misteriosa.
Recentemente, il Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi ha reso noto che, secondo i suoi studiosi, uomo e gatto vivrebbero insieme da oltre 9500 anni. A Cipro, in un sito archeologico di un antico villaggio abitato tra il 7000 e l’8500 avanti Cristo, sono stati rinvenuti i resti di una persona sepolta accanto al suo gatto, testimonianza del tentativo di protrarre l’amicizia tra uomo e animale anche dopo la morte.
Fino a questo momento si pensava che i primi a tenere i gatti accanto a sé fossero stati gli antichi Egizi, che 5000 anni fa instaurarono la prima forma di “contratto” tra mici e uomini. Ma ora, la scoperta fatta a Cipro, sposta indietro nel tempo la data della prima amicizia tra felini e persone.
Non si tratta però di una notizia inaspettata. Dell’argomento ne aveva già parlato diversi anni fa il professor Donald Engels, insegnante di Storia all’Università dell’Arkansas. Nel suo libro “Classical Cats”, il professor Engels racconta del ritrovamento fatto a Cipro nel sito neolitico di Khirokitia, di una mandibola di gatto. Esami successivi hanno poi rivelato che la mandibola apparteneva ad un grosso gatto vissuto circa 6000 anni prima della nascita di Cristo. L’animale doveva per forza essere stato portato sull’isola dall’uomo in quanto a Cipro manca qualsiasi testimoninza fossile di una evoluzione felina, cioè significa che i gatti non sono mai vissuti in quel luogo prima degli insediamenti umani.
Nel suo libro, il professor Engels si domanda anche se il gatto non fosse stato ucciso per essere mangiato ma ritiene improbabile che gli antichi abitanti di Cipro avessero portato via mare il micio sull’isola al solo scopo poi di sgozzarlo per cibarsene. Molto più facile invece pensare che l’animale fosse apprezzato fin da allora per la compagnia ma soprattutto per l’utilità nel difendere le scorte alimentari dai roditori. Infatti, come è stato anche evidenziato dai ricercatori parigini, non è casuale che i primi gatti siano apparsi a Cipro quasi contemporaneamente all’inizio, sull’isola, dell’agricoltura e quindi dell’abitudine di immagazzinare quantità di granaglie capaci di attirare topi e ratti.
Questa collaborazione sarà molto più evidente poi in Egitto. Il regno del faraone infatti si basava interamente sulle coltivazioni e i silos che contenevano il grano erano talmente capienti da essere diventati leggendari. Ovviamente simili quantità di cibo attiravano eserciti di piccoli roditori come i ratti, animali capaci di scalare pareti praticamente lisce e di infilarsi in pertugi strettissimi. Era impossibile per i guardiani dei silos reali sperare di vincere una guerra contro un simile nemico. Ma loro alleato era il gatto, cioè un animale selvatico abilissimo nella caccia che non verrà mai addomesticato del tutto ma che instaurerà invece con l’uomo un rapporto di mutuo tornaconto. Accanto agli uomini i gatti erano difesi da predatori più grandi e avevano cibo a disposizione e gli uomini vedevano i loro magazzini pattugliati da vere e proprie macchine contro i roditori.
Non stupisce per niente che in Egitto i gatti venissero considerati delle divinità. In poco tempo infatti essi diventarono i prediletti dai sacerdoti dei templi e presero il posto che prima erano delle leonesse come rappresentanti della dea Bastet e del dio Sekmeth, emblema della giustizia e della potenza in guerra. In onore dei gatti venivano organizzate imponenti feste religiose. Erodoto, lo storico greco vissuto tra 484 e il 430 a.C., racconta che in un’occasione si radunarono oltre settemila persone, giunte da tutte le parti del regno, per festeggiare la dea Bastet. Durante le cerimonie, migliaia di gatti camminavano tra la folla ed erano amorevolmente accuditi dai sacerdoti. Per i ministri del culto i gatti erano anche una cospicua fonte di guadagno. Lo storico Diodoro di Sicilia racconta che vi era l’usanza di votare ai gatti sacri molti bambini. I sacerdoti dunque vendevano ai genitori dei piccoli, delle medagliette raffiguranti teste di gatto che, assicuravano, appese al collo dei figli li avrebbero protetti.
Considerato dotato di poteri magici, il gatto era tenuto in grande considerazione dagli Egizi perché si pensava che potesse conoscere i segreti delle sfere celesti. E anche perché i suoi occhi brillavano di notte proprio come la luna. Il fatto che potesse vedere anche al buio faceva di lui un chiaroveggente. Il micio infatti era chiamavano “mau” che significa “vedere” e i sacerdoti si rivolgevano agli dei dalle sembianza di gatto proprio per conoscere in anticipo dove il nemico avrebbe colpito.
Sempre Erodoto spiega che i gatti erano tenuti anche nelle case, vezzeggiati e trattai con ogni riguardo. E quando un micio moriva era una tragedia. I suoi padroni si rasavano le sopracciglia in segno di lutto e poi il cadavere dell’animale veniva imbalsamato con aromi e deposto in un sarcofago di legno dipinto, che ne riproduceva l’immagine. Il sarcofago era poi scortato dai magistrati e portato in un cimitero riservato solo ai gatti. Nel 1890 furono trovate nella zona di Béni Assuan migliaia di piccole mummie feline. E altre necropoli per gatti sono state trovate a Bubastis, a Sakkarah e a Stabe-Antar vicino a Tebe.
Nell’antico Egitto, se qualcuno, anche per sbaglio, osava uccidere un gatto veniva condannato a morire tra atroci tormenti. Diodoro di Sicilia racconta di un cittadino romano lapidato dal popolo egizio per avere ucciso involontariamente un gatto schiacciandolo sotto il suo carro. Il rispetto degli Egizi per i gatti era tale che costò loro più di una battaglia. Si narra che nel 525 a.C. il re persiano Cambise decise di conquistare la città di Pelusio, che oggi si chiama Porto Said. La cittadina era difesa dagli egiziani e allora Cambise ordinò che ognuno dei suoi soldati portasse sullo scudo un gatto. Gli Egizi, par paura di ferire gli animali che tanto amavano, si arresero senza lottare.

Roberto Allegri


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